mercoledì 23 aprile 2008

Surfers Paradise

Dopo l’ennesima notte in aeroporto e dopo tre ore di volo sull’aereo più scomodo che io abbia mai preso (ci sarà un motivo se la compagnia in questione, il mese successivo, chiuderà i battenti), atterriamo finalmente all’aeroporto della Gold Coast.
Ufficialmente, questo aeroporto, fa capo alla cittadina di Coolangatta (nome che, come noterete, a orecchio italiano, ricorda infelicemente sfinteri e felini).
In realtà, tutti i paesi e cittadine che sorgono su questa striscia di spiaggia bianchissima, lunga più di 60 kilometri, sono assimilabili in un’unica entità urbana, la Gold Coast appunto, che fa capo a Surfers Paradise, la nostra meta.

Siamo costretti a passare qui tre giorni in attesa del volo successivo per la Malesia, e come ogni volta, si ripresenta il solito circo dei controlli australiani.
Si comincia con il controllo passaporti.
L’agente prende il mio passaporto, lo controlla e mi dice: “attenda qui per favore”
Arriva il superiore e, con l’espressione sorridente di chi ha beccato il nipote con le mani nella marmellata, dice: “è la terza volta che entri in Australia, fai avanti e indietro per i visti eh?”
Io, con aria innocente: “no, guardi, ripasso di qua solo per qualche giorno per una coincidenza aerea”.
Un po’ sorpreso che non fossi inginocchiato e in lacrime, a chiedergli di lasciarmi entrare, mi risponde con l’aria di uno a cui non là si fa in barba: “uhmmm, ok, ma guarda che ti stiamo tenendo d’occhio!”
Sorrido, timbra, e sono di nuovo in Australia.

Controllo bagagli: sia io che Vivi, abbiamo gli scarponi che sono una crosta di fango.
In Australia hanno il terrore, anche a ragione bisogna ammettere, di qualunque entità biologica proveniente dall’esterno (di cui ad esempio il fango potrebbe essere portatore).
Al modico prezzo di farci aprire e svuotare completamente i bagagli, a mio parere per vendetta, ce li tirano a lustro.
Ringraziamo e usciamo.

Prendiamo il bus e andiamo a Surfers Paradise.
Questo luogo ha il fascino di una colata di cemento sulla spiaggia.
La lunga fila di mostruosi grattacieli a bordo spiaggia è impressionante.
Questo è il luogo più turistico dell’Australia, dove il denaro ha ampiamente rimpiazzato il buon senso.

Fino agli anni ‘30, questo posto si chiamava Elston ed era una tranquilla cittadina su una splendida e gigantesca spiaggia.
Nel 1933 però, un bizzarro sindaco, decise che quella spiaggia andava sfruttata turisticamente e, come prima mossa pubblicitaria, bisognava cambiare il nome della città.
L’illuminazione lo colse quando incappò nel Surfers Paradise Hotel (che è stato in seguito spianato per far posto ad un centro commerciale).
Il nome gli piacque a tal punto che divenne il nome della città.
La mossa riuscì alla perfezione e grandi masse di turisti iniziarono a riversarsi nella piccola cittadina che, presto, si ritrovò ad avere un grosso problema di mancanza di infrastrutture turistiche.

Venendo a sapere di questa situazione e vedendoci un’enorme fonte di guadagno, un noto gruppo d’imprenditori giapponesi, la Yakuza, iniziò a costruire il mostruoso muro di grattacieli che ancora oggi si sta espandendo sulla Gold Coast.
Tre giorni, in una città dove l’età media è 20 anni e la cui principale preoccupazione è la festa che si svolgerà la sera, sono più che sufficienti a fartela odiare.

Al momento di registrarsi in ostello, la ragazza in reception guardandomi con sorriso malizioso mi dice: “siete in camera con altre quattro ragazze, sei proprio fortunato, da solo con cinque ragazze”
Io:“quanti bagni ci sono?”
Lei: “uno solo, in camera”
Il mio pensiero: “sono fottuto”

Essendo bloccati qui e non essendoci un gran che da fare, investiamo il nostro tempo riposandoci dopo il mese in New Zealand e preparandoci ad affrontare l’Asia.

Finalmente il momento arriva.
Abbandoniamo l’ostello, saliamo sul bus e torniamo all’aeroporto.

Al check-in ricomincia un nuovo teatro.
Noi abbiamo un biglietto di sola andata e la hostess non vuole farci imbarcare perché poi non potremmo uscire e il visto dura solo 30 giorni.
Mentre cercavo di spiegarle che era tutto a posto e che il nostro piano era quello di andare poi in Tailandia via terra, mi è sorto il dubbio, guardando nei suoi occhi vacui, che lei non avesse nemmeno l’idea che si potesse passare da uno stato all’altro senza prendere un aereo.
Passi che in Australia è vero che senza un aereo non si va da nessuna altra parte; passi che non ci sia, ormai, molta gente che attraversa le frontiere via terra (se non Italia/Svizzera per andare a far benzina); ma comunque mi è sembrato qualcosa di fuori dal mondo.
Dopo venti minuti di teatro, in cui ha controllato tre volte che quel che le dicevo fosse qualcosa di realmente possibile, finalmente ci fa passare dicendoci: “io vi faccio salire ma se poi non vi fanno entrare in Malesia non è mia responsabilità”.
Con il sorriso tipico di quando si assecondano i folli, la ringraziamo e saliamo sul nostro aereo.

Asia, arriviamo!



1 commento:

Anonimo ha detto...

...diciamo che te le vai a cercare...a meno di un'ora da byron bay e mi passi 3 gg a surfers paradise...dilettante... ;-)miky