Il giorno seguente lo passiamo passeggiando per il centro e visitando il museo.
L’isola del nord era la vera terra dei Maori; solo pochi, infatti, abitavano l’isola del sud in quanto troppo selvaggia e montuosa.
Qui al museo di Wellington è ricostruito un po’ della loro storia.
La storia di un popolo di guerrieri e artisti, che tutt’oggi è fiero delle sue tradizioni, della sua arte e della sua lingua (hanno anche un canale televisivo in lingua Maori).
Probabilmente l’aver accolto gli inglesi massacrandoli e mangiandoli gli ha fatto guadagnare un certo rispetto.
Partiamo alla volta del monte Taranaki.
È il più grande vulcano della Nuova Zelanda e svetta dal mezzo di una pianura sul mare.
L’effetto è impressionante.

Per raggiungerli, la mappa segna una strada diretta con, a un certo punto, una parte sterrata.
Ovviamente la imbocchiamo e il cartello che ci troviamo davanti è: “Forgotten World Highway”
5 ore di guida per una strada stretta che serpeggia tra le montagne e le valli nel mezzo della giungla.
Non c’è anima viva.
Il paesaggio è da paradiso perduto.
La vegetazione, gli uccelli, gli odori e i suoni, sono così alieni che non ti meraviglierebbe veder passare anche un dinosauro.
È così che passiamo in mezzo ad una comunità di tagliaboschi ferma agli anni ’50.
Macchine, abbigliamento, case, tutto di un’altra epoca.
E la cosa ancor più impressionante è stata vedere come, al nostro passaggio, tutte le attività si fermassero e, nel silenzio, tutti gli sguardi si voltassero verso di noi.
Cosa fosse quella comunità, perché vivessero in mezzo alla foresta e perché si fossero proclamati “Repubblica” sono misteri, per me, irrisolti.
Proseguendo l’asfalto finisce e la strada si stringe.
Le ore passano e la strada sembra non finire mai.
Il tempo promette tempesta, quindi decidiamo di rimandare i vulcani e ci dirigiamo alla volta di Rotorua.
Visto il diluvio universale in corso, approfittiamo per andare a visitare le caverne di Waitomo, luogo che ospita un bizzarro animaletto il Glow Worm, il verme luminoso.
Centinaia e centinaia di questi animali creano, nella completa oscurità delle caverne, dei veri propri cieli di stelle blu elettrico.
Uno spettacolo di quelli che capita di rado vedere.

Per i Maori, infatti, il calore di questa terra era un elemento essenziale della loro vita, poiché dava loro calore, acqua bollente, pietre roventi per cucinare e tanto altro.
Quando gli esploratori arrivarono qui la prima volta, pensarono di essere alle porte dell’Inferno.
E non si può dargli dargli tutti i torti.
Ovunque ci sono crateri ribollenti d’acqua o fango.
Questione di punti di vista.
Concludiamo la nostra visita con un lungo bagno in una piscina naturale, incontro di due fiumi, uno freddo e uno caldo, dove basta spostarsi di un passo per trovare la temperatura che si preferisce.
È tempo di tornare dai nostri vulcani. Il Monte Fato ci attende.
1 commento:
te sei il più figo di tutti hai capito tutto dalla vita....complimenti
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