martedì 11 dicembre 2007

Tasmania parte I

12 ore di navigazione sullo stretto di Bass, uno dei più difficili del mondo.
12 ore passate su un sedile studiato per farti alzare con la schiena che scricchiola.
12 ore a pensare cosa ci sarà dall’altra parte.

Arrivati a Devonport ci concediamo una ricca colazione e facciamo uno straccio di piano di viaggio.
Decidiamo di recarci diretti a Hobart perché…

Torniamo indietro nel tempo.
Fine Luglio.
Broome.
Luca mi aveva appena raggiunto ed eravamo in spiaggia a goderci il tramonto insieme a una buona bottiglia di vino.
Arriva una ragazza a chiedere un cavatappi e iniziamo a chiacchierare.
Si chiama Claire ed è tasmaniana.
Dopo poco la raggiungono anche i genitori e passiamo una mezz’oretta a parlar del più e del meno.
Lei mi lascia il numero così che se fossimo andati in Tasmania ci saremmo sentiti e saremmo usciti una sera.

Prima di imbarcarmi ci sentiamo.
E in un attimo ci ritroviamo con un invito a stare da loro a Hobart.
Con tanto di festa a cui “sarebbe bellissimo se ci foste anche voi”

Decisione fatta.
Abbiamo due giorni prima della festa e ci avventuriamo per le tortuose strade.

La Tasmania ci rivela da subito i suoi colori predominanti: il verde e il blu.
Foreste, prati, montagne, laghi, fiumi, cascate, spiagge.

Dopo qualche tappa a in aziende agricole a degustare cibi e vini arriviamo a Leaffy falls.
Nella foresta pluviale.

Ci dirigiamo poi a Launceston.
La seconda città della Tasmania.
Come spesso succede è costruita lungo un fiume.
Ma qui il fiume arriva diretto dal mezzo delle montagne creando la Tamar Valley (lo so, questo nome è stupendo).

Ci rimettiamo in marcia e incappiamo in Lake Leeky.
Un lago tra le montagne che, complice il tempo uggioso, ci si mostra mistico e spettrale allo stesso tempo.

Qui vengo colto da un lampo di genio.
Quelle idee uniche, che ti vengono solo quando vivi per troppo tempo a contatto con la natura.
Provare a entrare nel lago.
Dopo circa dieci secondi dal primo passo nel lago i miei piedi erano violacei.
Decido di abbandonare l’impresa per schiacciante inferiorità.

Tra il lago e Freycinet Peninsula, la nostra ultima tappa prima di Hobart, scopriamo che si passa da una delle due zone vinicole della Tasmania.

Ci sono 5 vigneti in 15 km.
E ognuno produce almeno 3 vini.
Fa una media di circa 18 vini (non son così capra in matematica, ho detto ALMENO 3 vini) diversi in meno di 2 ore.
Dimenticavo, tutto questo in tarda mattina.

In condizioni piuttosto pietose arriviamo alla penisola e ci incamminiamo per Wineglass Bay.
Lungo la strada facciamo incontri molto ravvicinati del tipo marsupiale.

E si arriva alla cima.
Purtroppo il tempo minaccia pioggia, ma il panorama rimane notevole.

Poiché in Tasmania ci sono campeggi gratuiti ovunque, prendiamo il più vicino.
Il posto si chiama Friendly Beaches.
Praticamente siamo accampati a 10 metri dal mare.
Mare, tramonto tra le nuvole scure, riflesso della sabbia bianca.
E tutto diventa blu.

La mattina facciamo colazione con i soliti ospiti e ripartiamo.

Passiamo da Bicheno e incappiamo in uno dei soliti cartelli che ti lasciano un po’ perplesso.

Ci fermiamo a mangiare pankake ai funghi in una baita tra le montagne e, perdendoci tra le montagne di cui sopra, arriviamo finalmente a Hobart.
Diretti a casa di Claire.

giovedì 22 novembre 2007

Adelaide to Tasmania

Finalmente Adelaide.
Il deserto mi ha fatto sudare questo momento per 10 lunghi giorni.
Finalmente posso riabbracciare Viviana.
Quel qualcosa, che quando ci pensi sorridi sempre sornione, è ora di fronte a me.
E sono felice, come non lo ero da tanto.

Adelaide mi riserva anche un altro incontro che non facevo da tempo.
Il traffico.

Qui un giorno, mentre mangiavamo qualcosa in un centro commerciale, conosciamo Said e Cesarina. Una coppia di romani che due anni fa, dopo essere venuti a trovare la figlia che era qui col Working Holiday, si sono innamorati dell'Australia, hanno venduto tutto e hanno aperto una tavola calda ad Adelaide.

Siamo diventati subito amici e l'indomani eravamo a cena a casa loro, in compagnia di Cinzia, Roberta e Mel.
La cena era a base di bucatini alla amatriciana VERI (pancetta, non bacon; pecorino, non parmesan) e grigliata di carne.
E in conclusione amaro montengro e caffè corretto grappa.
Sapori che non gustavo ormai da 10 mesi.
Cena e persone davvero squisiti.

Tre giorni son passati come il vento.
Ed è già ora di ripartire.
Devo di nuovo separarmi da Viviana, questa volta per 3 settimane.
Io vado in Tasmania e lei in Western Australia.
Inconvenienti di una storia che nasce in viaggio.

Riparto con un po' di tristezza, tanti progetti e un grande sogno.

Lasciata Adelaide ci muoviamo alla volta della Great Ocean Road.
E poco dopo incappiamo in un lago viola.
E non è un gioco di riflessi.

Leggendo sulla guida scopriamo l'esistenza di un lago vulcanico, proprio sulla nostra strada.
Il lago nei giorni di sole diventa blu zaffiro.
Ovviamente il sole non c'era...
Ma lo spettacolo è comunque degno di una sosta.

Come smpre per dormire ci fermiamo a una piazzola di sosta.
La mattina però, mentre facciamo colazione, scopriamo di avere un ospite.

Ripartiamo, raggiungiamo la costa e finalmente comincia la Great Ocean Road.
Questa è la strada più famosa d'Ausralia.
Dove solo continuare a guidare è un piacere.
300 kilometri e tre paesaggi differenti.

Le scogliere.

Con la magnificenza dei dodici apostoli

La foresta, piena di koala.

E infine la strada che corre nel mezzo, dove foresta e mare si sposano.

E nel mezzo, le piazzole di sosta, sono spiagge.

Quando questa strada finisce si ritorna alla civiltà.
Ed ecco che diventa un'autostrada che corre dritta fino a Melbourne.
Dopo 7 mesi rieccomi qui.
La sensazione è strana.
Come se fossi stato via per un week end.
Ma prima ancora che mi possa rendere conto delle mie sensazioni sono già a Port Melbourne.
E Lei, è li che ci aspetta.
La nave che songnavo di prendere da quando arrivai qui e lessi le avventure di Riccardo.
Questa volta tocca a me.

Sailing...

domenica 4 novembre 2007

South Australia border to Adelaide

Il deserto è proprio vasto.
Entrati in South australia il deserto diventa biancastro e roccioso.
Sembra impossibile pensare che uomini e animali possano sopravvivere in un ambiente del genere.

Esattamente nel mezzo di questa distesa c'è una cittadina.
Si chiama Coobet Pedy.
Quel che avevamo letto era che questa cittadina nacque per lo sfruttamento delle miniere di opale, che aveva la caratteristica di avere molte case sotto terra per ripararsi dalle temperature estreme e che è stata il set del film "Mad Max 3"

La sorte ha voluto che rimanessimo qui bloccati per 3 giorni.
Abbiamo scoperto che questo luogo è ai confini della realtà.

L'alternatore di Forrest ha pensato bene di abbandonarci a 30 km dalla città.
Fortunatamente la doppia batteria ci ha consentito di raggiungere il meccanico.
Perchè il pezzo arrivi ci vogliono due o tre giorni.
Il meccanico ci manda a stare nel parcheggio di un negozio di usato gestito da un suo amico e ci trova un lavoretto per il giorno dopo.
La cittadina è assurda e le strade quasi tutte sterrate.

Raggiungiamo il posto e ci presentiamo al proprietario, Elbow, che ci offre sistemazione, acqua e bagno fintanto che ne avremo bisogno. Ovviamente free.
Nella sfiga ci è andata di lusso

La prima sera il tempo ha fatto le bizze.
Un tramonto incredibile in principio.

Poi tornadi, tempeste di sabbia e tempesta di fulmini.
Un fenomeno spettacolare che accade una volta l’anno.
Tutto per darci il benvenuto.

Elbow è un ultrasettantenne che vive qui da più di trent’anni.
La seconda sera ci offre un caffè e iniziamo a chiacchierare.
Ci racconta un po’ di storie su ciò che è, e soprattutto ciò che era, Coober Pedy.

Storie degli ultimi 30 anni di questa città.
Lui li chiama “i vecchi tempi”, quando qui sparivano una media di 20 minatori a settimana, tutti sepolti nelle miniere.
Storie…
Di persone pronte a fare una strage per un accendino a cui erano affezionate.
Di omicidi a cui la gente reagiva semplicemente non chiedendo.
Del libero commercio delle bombe, vendute al supermercato.
Di storie false per crearsi una nuova vita.
Di chi dopo dieci anni di amicizia scopri essere uno dei maggiori ricercati d’Australia.
Di chi ha fatto fortuna e di chi ha perso tutto.
Di quando il governo dava la scorta ai muratori che andavano a lavorare li.
Di credenze, spiriti dei morti e miniere maledette.
Di persone che hanno fatto saltare in aria il municipio dopo un tentativo di controllo dell’evasione fiscale.
Di chi ha fatto saltare in aria la stazione di polizia per una multa ritenuta ingiusta.
E tanto altro…

Tre giorni qui ti fanno conoscere una realtà alternativa
Un mondo davvero selvaggio che, per quanto ormai forzatamente civilizzato, ancora porta i segni di anni e anni di sangue.
E quando è il momento di ripartire quasi ti dispiace.

Ci rimettiamo in marcia.
Dopo Coober Pedy non c’è nulla per 300 kilometri.
È l’area proibita di Woomera.
Qui sono state fatte esplodere diverse testate nucleari.
È consigliato di fermarcisi il meno possibile ed è assolutamente proibito lasciare la Highway.
Fino al primo luogo abitato appena dopo il confine dell’area proibita.
Che ti accoglie così.

Quando poi la strada costeggia quest’area si arriva a Lake Hart.
Un lago salato.
Una di quelle cose che ho sempre sognato di vedere.
E l’attesa di anni è valsa la pena.

Se non fosse per dei bizzarri cartelli che, non sapendo bene come interpretare, abbiamo semplicemente ignorato.

Altre centinaia di kilometri di piana desertica a perdita d’occhio.
E si arriva a Port Augusta.
Il mare di nuovo.

Quanto mi è mancato.

Percorriamo le ultime interminabili centinaia di kilometri, attraverso una zona che mi ricorda incredibilmente le campagne pugliesi.
E finalmente arriviamo ad Adelaide.

Ho atteso questo momento da quando ho lasciato Darwin.
Perché?
Ricordate quella cosa che quando ci pensi sorridi sempre sornione?

venerdì 2 novembre 2007

Darwin to South Australia border

Il viaggio comincia.
Si ripassa da Katherine dove Luca si prende il suo Didjeridoo e facciamo incetta di dipinti aborigeni.
E si riparte al volo.

Mataranka è la prima sosta.
Mattinata alle caldissime sorgenti termali immerse nella vegetazione, sede di una colonia di pipistrelli giganti.
Tanti pipistrelli tutti assieme li avevo visti solo nei film.

Lasciata Mataranka il paesaggio comincia a farsi desertico.
Maciniamo kilometri finchè non giungiamo ai Devil Marbles.
Monoliti di roccia rossa dagli equilibri ai limiti della fisica.
Sembra davvero una costruzione fatta da qualche entità paranormale.

Pit-stop per cibo e carburante ad Alice Springs e via di nuovo alla volta di Uluru e Kings Canyon.
Sulla mappa è segnata una scorciatoia sterrata ma praticabile.
E su quella strada si passa da un complesso di crateri di meteoriti.
Perché no?
Le ultime parole famose…

Ci avviamo su questa strada che taglia il deserto e dopo poco giungiamo ai crateri.
Lo spettacolo non è male.
Ma è niente in confronto a ciò che c’è attorno.

Qui incontriamo due ranger e gli chiediamo se, con la nostra macchina, il resto della strada fosse fattibile.
La risposta è “no worries, just take it easy”
Mortacci dei ranger!

La strada è un misto di corrugation e sabbia.

Ci siamo insabbiati, abbiamo sbandato in continuazione, abbiam rischiato di ribaltarci, di spaccare la coppa dell’olio e le sospensioni e ci si è diviso in due il parabrezza.
Dopo esserci fatti trainare fuori da una duna da un passante in fuoristrada, abbiamo chiesto al gentile australiano se ci fosse ancora molta pista di sabbia.
La risposta è stata: “no warries, not too much”
Arimortacci dell’australiano!

Mancavano 30km, 28 erano pista di sabbia.

Distrutti dopo 100 km attraverso il deserto, torniamo infine sull’asfalto.

E si va a Kings Canyon.

Ripartiamo alla volta di Uluru e le Olgas.

Lungo la strada ci accampiamo in una piazzola in mezzo al deserto.
Noi, Forrest e il tramonto dalla cima di una duna.

Ripartiamo la mattina seguente e ci accorgiamo che Forrest ha un po’ accusato la strada e il motore scoppietta come una pentola di latta piena di popcorn.
Necessita un controllino.

Arriviamo a Yulara, il centro abitato nato per ospitare i turisti diretti a Uluru.
Ovviamente è domenica, e il meccanico è chiuso.
Decidiamo quindi di andare alle Olgas e poi a Uluru.
Luca si nasconde dietro e dimezziamo il prezzo dell’ingresso.

Andiamo alle Olgas e già dalla strada si presentano in tutta la loro suggestività.

Il caldo è notevole.
Siamo sopra i 40 gradi.
E sul sentiero troviamo questo cartello.


Ripartiamo e finalmente il grande momento arriva.
Il nostro appuntamento con Uluru.
Quando ci si trova davanti a questi luoghi si capisce perché siano sacri per gli aborigeni.
E perché alcuni dicono che son solo rocce, ed altri che sono un luogo magico.
Il loro aspetto lo si vede con gli occhi.
Cosa sono lo si percepisce con lo spirito.
Il pulsare dell’energia della terra non è una cosa che puoi descrivere o spiegare.
Lo puoi solo sentire.
Il tramonto arriva.

Il momento rasenta la perfezione e ci mettiamo a suonare il didjeridoo.
Quando ci rendiamo conto della gente che ci fotografa.
E sentirsi dire “grazie, avete reso questo momento davvero perfetto” fa un certo effetto.

La notte cala e “rincasiamo”.
La mattina seguente torniamo a Uluru a goderci l’alba.

E si va dal meccanico.
Ci dice che ci vorrà qualche ora e che quindi ci riporta a Yulara.
Son state le ore più lunghe di questo viaggio.
Senza macchina, senza libri, senza niente in un posto con niente, nel mezzo del niente.
Abbiamo girato tutti gli shop, tutti e 7, compreso l’ufficio postale.
L’unico diversivo son state due texane, minorenni, affamate, che ci hanno abbordato e fatto un book fotografico.

Finalmente Forrest è pronto e, fortunatamente, con una spesa minima.
Ripartiamo attraverso il deserto e arriviamo al confine col South Australia.

Da qui in poi il deserto cambia.
E lo attraverseremo tutto.

domenica 14 ottobre 2007

Bye bye Darwin

Quando viaggi in questo modo far programmi è sempre relativo.
Eravamo partiti con l'idea di fermarci qui due settimane.
Dopo un mese e mezzo ancora siam qua.
Pronti a partire questa volta.

Darwin da semplice tappa mi ha invece regalato più di quanto potessi immaginare.
Tanti cambiamenti e tante sorprese.
Ho conosciuto veramente tantissime persone eccezionali.

Ho imparato a costruire i didjeridoo da un australiano, ex agente della mafia libanese, naturalizzato aborigeno.

Ho suonato con gli aborigeni e imparato a conoscere e comprendere la loro cultura.

Siamo arrivati al punto di essere diventati una sorta di parte della famiglia.
E quando finalmente riesci ad entrare un po' in profondità, scopri un mondo.
Un mondo di canzoni, spiriti, lotte, magia, arte, depressione.
Io per loro sono un "Burrow", un coccodrillo d'acqua salata.
E' davvero una cultura difficile da capire per l'uomo civilizzato.
E quando ne si capisce anche solo una piccola parte, immediatamente se ne capiscono anche i problemi.

Qui a Darwin le giornate passano serene come forse non lo son state mai in vita mia.
Mindil Beach è il nostro soggiorno e cucina, il casinò il nostro bar e bagno, e la spiaggia di Little Mindil la nostra camera da letto.
Si lavora in una pizzeria italiana, fornace di soggetti altresì particolari.
Guardare qui per credere.

Lo stress ti sembra qualcosa di alieno.
Qualcosa che sai di sicuro che esiste da qualche parte, ma di certo non dove sei tu.

Qui a Darwin ho assaporato la vita semplice.
Non so cos’abbia questa città, ma è come se mettesse alla prova le persone.
Come se facesse una selezione.
Ora capisco perché ci son tanti pareri discordati.

Solo le persone particolari e speciali apprezzano Darwin e ci rimangono con piacere.
E qui a ne ho conosciute davvero tante.
Viviana, Matteo, Bruno, Giuseppe, John, Andrea, Shane, le giappe, la transalpina e la svedesona, i nostri amici aborigeni e infine gli abitanti del “condominio” Mindil Beach.

Non uno con una storia simile all’altro.
Ma tutti con qualcosa in più.
Quel qualcosa che fa sì che quella persona lasci un segno indelebile nella tua vita.

Questa città rimarrà per sempre nei miei più bei ricordi.
Non tanto per se stessa, ma per le persone che ho conosciuto e per ciò che mi è accaduto.
Ho vissuto momenti bellissimi e altri difficili.
Mi son sentito dire cose meravigliose, che ti fanno star bene.
E infine mi è capitata la cosa più bella.
Quella che ogni volta che ci ripensi sorridi sempre sornione.

È giunto il momento di lasciare questa città.
Le piogge ormai sono iniziate e il tempo che rimane a Luca non è molto.
Abbiamo fretta e nonostante questo la partenza si ritarda per tre giorni.
Andarsene da qui è davvero difficile.
Ma è finalmente il momento.
Forrest è pronto.

I nostri programmi son stati stravolti di nuovo.
E i miei in particolare.
La meta è la Tasmania.
Passando dal centro.
Per 3000 km di deserto.

E si riparte…

lunedì 10 settembre 2007

Forrest reborn

Arrivati a Darwin la salute di forrest era assai compremessa.
Il motore iniziava a dar segni di cedimento.
La batteria anche.
Il fumo era nero e denso.
E i consumi, quelli di una Lamborghini.

Il momento arriva inesorabile.
Bisogna portarlo dal dottore.

Ci sentiamo dire "your car is fucked".

Lo sconforto prende il sopravvento.
Quand'ecco uno spiraglio di luce; Dani ci porta da un meccanico che ha conosciuto.
Il suo nome è John.
Uomo di bell'aspetto, sulla quarantina, dai modi molto cordiali e genuini.

Inizia il paradossale:
Esamina la macchina per un'ora senza farci pagare nulla, giungendo alla conclusione che sarà un lavoraccio.
Ci fa portare Forrest a casa sua per lavorarci in nero facendoci pagare la metà.
Ci da il SUO van per non lasciarci a dormire in mezzo a una strada.
Ha una tenda in giardino per ospitare i Backpackers nelle nostre condizioni, ma sua moglie voleva un attimo di tregua.
Ci fa lavorare su Forrest per farci risparmiare.

Ci invita a cena a casa sua.
Ci racconta che in 6 anni è partito dal non avere più nulla dopo il suo divorzio, ad essere bimilionario, con una bella moglie, e una vita ricca e serena.
Vuole smettere di lavorare tra qualche anno e vivere solo di rendita viaggiando per il mondo.
A lui i soldi non interessano, quel che cerca è aiutare i backpackers e instaurare rapporti umani.
Ci offre doccia, birra, stanza delgli ospiti e uso della lavandria.
Cambiamo la testa del motore, le guarnizioni, gli anelli dei pistoni, i cavi, le candele, il point.

Non è ancora soddisfatto e cambia il carburatore.
Ci ridà Forrest rinnovato, o meglio, rinato.
Ci offre di aiutarlo in qualche lavoretto per pagare la manodopera.
In tutto questo ancora non si è fatto pagare.

Ora, passata una settimana in cui è andato a Brisbane, ci ha chiesto di aiutarlo a sistemare dei van e rivenderli.
Ancora non ci ha chisto soldi.
Di solito quando una persona temporeggia così con i pagamenti è perche deve DARE soldi, non RICEVERLI.
Ma questa è l'Australia.

Nell'attesa abbiamo deciso di risistemare un po' anche il look.


Ormai mancano solo le gomme nuove e forrest sarà come nuovo.

Pronto a correre di nuovo per le strade australiane.

Stay tuned...

giovedì 30 agosto 2007

Grazie...

Xavier Rudd - Fortune Teller

Well I see, because this is my window

Your questions, with every move I make

So much time, is made up with answers

To why my feet will, always hold their ground


Need to be the one

Redefine yourself

See it in your mind
This is all a game

Do it all again

Redefine yourself

See it in your mind

This is all a game

This is my fortune

Well I see, the sun in my window
That questions will remain


This is my fortune


...e a presto.

giovedì 16 agosto 2007

Broome to Darwin

Si riparte!
L'equipaggio è parzialmente cambiato.
Ora anche Luca è dei nostri.
Ebbene si, dopo 7 mesi di vita da cittadino, ha deciso di provare l'emozione della vita nomade.
All'equipaggio si aggiunge, in sostituzione di Martin che è rimpatriato, Etienne (detto Il Salamandra causa spiccata similitudine nei lineamenti facciali).
Uno dei tanti casi umani che solo Dani riesce a recuperare con tanta facilità.
Si decide di partire con un percorso un po' azzardato passando per una parte della Gibb River Road.
Tradotto alla spicciola significava 300 kilometri abbondanti di strada non asfaltata.
E andiamo!

Lungo la via ci fermiamo a Derby per rifornimento e per vedere qualcosa di singolare.
Ovvero un baobab gigante che fino a 50 anni fa veniva utilizzato come prigione.

E si imbocca la Gibb River Road

Nella notte e nella solitudine si iniziano a sentire le prime note di un bizzarro trio, chitarra, flauto e didgeridoo.
Molta solitudine...

Si arriva a Winjana Gorge.
Una gola, in una gigantesca muraglia di roccia che attraversa tutto il Kimberley.
Milioni di anni fa tutto questo era un immenso reef sottomarino.

Fiume, spiagge, un sacco di coccodrilli a pochimetri da te.

Si riparte seguendo l'antico reef e si arriva a Tunnel Creek.
Un fiume che si è scavato un tunnel nella roccia attraverso la muraglia di cui sopra.
(ringrazio il flash perchè l'oscurità era completa)

E all'uscita della caverna il paesaggio sembra un dipinto.

Si guadano fiumi, si macina strada "4WD Only" coi nostri gloriosi mezzi e si ritorna sull'asfalto alle porte di Fitzroy Crossing.

In questa cittadina di 1000 abitanti, quasi esclusivamente aborigeni, ci godiamo un piacevole diversivo con una rilassante gita in barca sul Fitzoroy River che serpeggia nella Geikie Gorge.

Muraglie di roccia spiagge e, tanto per variare, un sacco di coccodrilli.

Da Fitzory Crossing a Halls creek son 500km di niente.
E Halls Creek ha davvero poco da offrire.
Un pezzo di muro quarzoso tra 2 fattorie, costruito un secolo fà, qui è un pezzo di storia come il Foro romano.
Per darvi un'idea di come gli australiani si aggrappino a qualunque cosa, questo mucchio di mattoni lo chiamano "China Wall".

Ispirato da cotanta bellezza il Salamandra decide che ci lascerà il giorno dopo.
Il suo scopo è fare autostop per andare al parco di Purnululu.
Un luogo meraviglioso ma inaccessibile (davvero stavolta) alle macchine normali.
Ci ha chiesto di essere lasciato al bivio in modo da avere più possibilità.
Peccato che il bivio si trovi a minimo 100km dalla prima forma di vita, e lui ci si sia fatto lasciare a mezzogiorno, con 40 gradi, e 1 litro d'acqua.
Non abbiamo più avuto sue notizie...

Il nostro viaggio prosegue.
Visto che abbiamo dovuto saltare Purnululu, decidiamo di deviare per El Questro.
Un luogo all'estremità opposta della Gibb river road.
Purtruppo lungo la strada Forrest ha un cedimento e ci ha costretto, trainati dalla Felina, a lasciare questo posto con la coda tra le gambe.
Siamo comunque riusciti a passare mezza giornata a Zebedee Springs.
Un luogo che è valso tutta la fatica.
Una sorgente termale che crea cascatelle e piscine calde nel mezzo della vegetazione tropicale.
Senza parole.

Farsi trainare per 50km di sterrato e 50km di asfalto è stato un po' snervante.
Anche perchè la Felix accusava la fatica.

Finalmente si arriva a Kununurra.
La sosta forzata di un paio di giorni per la riparazione di Forrest è resa comunque piacevole dalla verdeggiante cittadina.
Qui Dani recupera Ania, una tedesca ventinovenne maggiorata, nuova travelmate in sostituzione del salamandra.
Strano ma vero, sembra essere quasi una persona normale.

Ripartiamo verso Katherine e dopo 5 mesi di permanenza, lascio il Western Australia.
Si entra in Northern Territory.
Si attraversa Katherine e si va diretti al Nitmiluk National Park.
Tanti canguri, fin troppo amichevoli.

Spendiamo mezza giornata in canoa, a pagaiare lungo la gola di roccia.
Nel pomeriggio si lascia il parco e si va ad un appuntamento che attendevo da un po'.
Il Top Didge.
Uno dei negozi di didgeridoo più famosi d'Australia.
E' tempo di un upgrade.

Ultimato l'acquisto, che grazie alla napoletanaggine di Miky è stato portato a termine con uno sconto oltremodo corposo, raggiungiamo Edith Falls.
Qui passiamo pressochè un'intera giornata tra bagni sotto le cascate e sessioni di asciugatura sulle rocce lisce e caldissime.

E via verso il nord.
Poco prima del bivio per il Litchfield nationa park ci fermiamo ad una piazzola per dormire.
Qui per puro caso incontriamo Matteo, detto il Cowboy. Un'amico telematico di Luca, anche lui a zonzo per l'Australia on the road.

Insieme si va tutti al parco.
La prima cosa che si incontra sono i termitai.
Grandi. Enormi. Mastodontici.
Rapportati alle dimensioni di un termite, è come se l'uomo cosruisse un palazzo alto 4 volte l'Empire State Buiding e largo quanto mezza Manhattan.

E poi laghi, cascate, vegetazione tropicale e... ragni.

Fino alle Wangi Falls.
E' sempre un lago con due cascate.
Ma è talmente bello che non te ne vuoi più andare.
E due giorni passano come niente.

Ultimi kilometri e ultima deviazione alle Berry Springs.
E si arriva infine a Darwin.

E l'avventura continua...