Si ripassa da Katherine dove Luca si prende il suo Didjeridoo e facciamo incetta di dipinti aborigeni.
E si riparte al volo.
Mataranka è la prima sosta.
Mattinata alle caldissime sorgenti termali immerse nella vegetazione, sede di una colonia di pipistrelli giganti.
Tanti pipistrelli tutti assieme li avevo visti solo nei film.
Maciniamo kilometri finchè non giungiamo ai Devil Marbles.
Monoliti di roccia rossa dagli equilibri ai limiti della fisica.
Sembra davvero una costruzione fatta da qualche entità paranormale.
Sulla mappa è segnata una scorciatoia sterrata ma praticabile.
E su quella strada si passa da un complesso di crateri di meteoriti.
Perché no?
Le ultime parole famose…
Ci avviamo su questa strada che taglia il deserto e dopo poco giungiamo ai crateri.
Lo spettacolo non è male.
Ma è niente in confronto a ciò che c’è attorno.
La risposta è “no worries, just take it easy”
Mortacci dei ranger!
La strada è un misto di corrugation e sabbia.
Dopo esserci fatti trainare fuori da una duna da un passante in fuoristrada, abbiamo chiesto al gentile australiano se ci fosse ancora molta pista di sabbia.
La risposta è stata: “no warries, not too much”
Arimortacci dell’australiano!
Mancavano 30km, 28 erano pista di sabbia.
Distrutti dopo 100 km attraverso il deserto, torniamo infine sull’asfalto.
E si va a Kings Canyon.
Lungo la strada ci accampiamo in una piazzola in mezzo al deserto.
Noi, Forrest e il tramonto dalla cima di una duna.
Necessita un controllino.
Arriviamo a Yulara, il centro abitato nato per ospitare i turisti diretti a Uluru.
Ovviamente è domenica, e il meccanico è chiuso.
Decidiamo quindi di andare alle Olgas e poi a Uluru.
Luca si nasconde dietro e dimezziamo il prezzo dell’ingresso.
Andiamo alle Olgas e già dalla strada si presentano in tutta la loro suggestività.
Siamo sopra i 40 gradi.
E sul sentiero troviamo questo cartello.
Ripartiamo e finalmente il grande momento arriva.
Il nostro appuntamento con Uluru.
Quando ci si trova davanti a questi luoghi si capisce perché siano sacri per gli aborigeni.
E perché alcuni dicono che son solo rocce, ed altri che sono un luogo magico.
Il loro aspetto lo si vede con gli occhi.
Cosa sono lo si percepisce con lo spirito.
Il pulsare dell’energia della terra non è una cosa che puoi descrivere o spiegare.
Lo puoi solo sentire.
Il tramonto arriva.
Quando ci rendiamo conto della gente che ci fotografa.
E sentirsi dire “grazie, avete reso questo momento davvero perfetto” fa un certo effetto.
La notte cala e “rincasiamo”.
La mattina seguente torniamo a Uluru a goderci l’alba.
E si va dal meccanico.
Ci dice che ci vorrà qualche ora e che quindi ci riporta a Yulara.
Son state le ore più lunghe di questo viaggio.
Senza macchina, senza libri, senza niente in un posto con niente, nel mezzo del niente.
Abbiamo girato tutti gli shop, tutti e 7, compreso l’ufficio postale.
L’unico diversivo son state due texane, minorenni, affamate, che ci hanno abbordato e fatto un book fotografico.
Finalmente Forrest è pronto e, fortunatamente, con una spesa minima.
Ripartiamo attraverso il deserto e arriviamo al confine col South Australia.
E lo attraverseremo tutto.
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