venerdì 2 novembre 2007

Darwin to South Australia border

Il viaggio comincia.
Si ripassa da Katherine dove Luca si prende il suo Didjeridoo e facciamo incetta di dipinti aborigeni.
E si riparte al volo.

Mataranka è la prima sosta.
Mattinata alle caldissime sorgenti termali immerse nella vegetazione, sede di una colonia di pipistrelli giganti.
Tanti pipistrelli tutti assieme li avevo visti solo nei film.

Lasciata Mataranka il paesaggio comincia a farsi desertico.
Maciniamo kilometri finchè non giungiamo ai Devil Marbles.
Monoliti di roccia rossa dagli equilibri ai limiti della fisica.
Sembra davvero una costruzione fatta da qualche entità paranormale.

Pit-stop per cibo e carburante ad Alice Springs e via di nuovo alla volta di Uluru e Kings Canyon.
Sulla mappa è segnata una scorciatoia sterrata ma praticabile.
E su quella strada si passa da un complesso di crateri di meteoriti.
Perché no?
Le ultime parole famose…

Ci avviamo su questa strada che taglia il deserto e dopo poco giungiamo ai crateri.
Lo spettacolo non è male.
Ma è niente in confronto a ciò che c’è attorno.

Qui incontriamo due ranger e gli chiediamo se, con la nostra macchina, il resto della strada fosse fattibile.
La risposta è “no worries, just take it easy”
Mortacci dei ranger!

La strada è un misto di corrugation e sabbia.

Ci siamo insabbiati, abbiamo sbandato in continuazione, abbiam rischiato di ribaltarci, di spaccare la coppa dell’olio e le sospensioni e ci si è diviso in due il parabrezza.
Dopo esserci fatti trainare fuori da una duna da un passante in fuoristrada, abbiamo chiesto al gentile australiano se ci fosse ancora molta pista di sabbia.
La risposta è stata: “no warries, not too much”
Arimortacci dell’australiano!

Mancavano 30km, 28 erano pista di sabbia.

Distrutti dopo 100 km attraverso il deserto, torniamo infine sull’asfalto.

E si va a Kings Canyon.

Ripartiamo alla volta di Uluru e le Olgas.

Lungo la strada ci accampiamo in una piazzola in mezzo al deserto.
Noi, Forrest e il tramonto dalla cima di una duna.

Ripartiamo la mattina seguente e ci accorgiamo che Forrest ha un po’ accusato la strada e il motore scoppietta come una pentola di latta piena di popcorn.
Necessita un controllino.

Arriviamo a Yulara, il centro abitato nato per ospitare i turisti diretti a Uluru.
Ovviamente è domenica, e il meccanico è chiuso.
Decidiamo quindi di andare alle Olgas e poi a Uluru.
Luca si nasconde dietro e dimezziamo il prezzo dell’ingresso.

Andiamo alle Olgas e già dalla strada si presentano in tutta la loro suggestività.

Il caldo è notevole.
Siamo sopra i 40 gradi.
E sul sentiero troviamo questo cartello.


Ripartiamo e finalmente il grande momento arriva.
Il nostro appuntamento con Uluru.
Quando ci si trova davanti a questi luoghi si capisce perché siano sacri per gli aborigeni.
E perché alcuni dicono che son solo rocce, ed altri che sono un luogo magico.
Il loro aspetto lo si vede con gli occhi.
Cosa sono lo si percepisce con lo spirito.
Il pulsare dell’energia della terra non è una cosa che puoi descrivere o spiegare.
Lo puoi solo sentire.
Il tramonto arriva.

Il momento rasenta la perfezione e ci mettiamo a suonare il didjeridoo.
Quando ci rendiamo conto della gente che ci fotografa.
E sentirsi dire “grazie, avete reso questo momento davvero perfetto” fa un certo effetto.

La notte cala e “rincasiamo”.
La mattina seguente torniamo a Uluru a goderci l’alba.

E si va dal meccanico.
Ci dice che ci vorrà qualche ora e che quindi ci riporta a Yulara.
Son state le ore più lunghe di questo viaggio.
Senza macchina, senza libri, senza niente in un posto con niente, nel mezzo del niente.
Abbiamo girato tutti gli shop, tutti e 7, compreso l’ufficio postale.
L’unico diversivo son state due texane, minorenni, affamate, che ci hanno abbordato e fatto un book fotografico.

Finalmente Forrest è pronto e, fortunatamente, con una spesa minima.
Ripartiamo attraverso il deserto e arriviamo al confine col South Australia.

Da qui in poi il deserto cambia.
E lo attraverseremo tutto.

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